29
Ott
09

La bolla che deve ancora scoppiare /3

di Andrea Ferrario

Terza e ultima puntata: La “pace ligrestiana”, il Pgt e il Parco Sud; Il diktat di Formigoni, gli altri progetti faraonici; Aeroporti impazziti; Contro Milano; La bufala del social housing

Un viaggio in più puntate nella bolla milanese che deve ancora scoppiare: dal bilancio del Comune, ai derivati e al contesto di nuova bolla finanziaria che incombe a livello internazionale, per passare poi ai grandi progetti edilizi in crisi, agli intrecci finanza-mattone e alle bolle prossime e venture del cemento e degli aeroporti. (scarica il file pdf stampabile con il testo completo delle 3 puntate)

LA “PACE LIGRESTIANA”, IL PGT E IL PARCO SUD

Nelle prime due puntate del nostro speciale sulla “bolla che deve ancora scoppiare” abbiamo passato in rassegna i casi più clamorosi della crisi finanziaria e immobiliare che incombe su Milano, e non solo. In quest’ultima puntata passiamo invece in rassegna una serie di sviluppi meno eclatanti, ma altrettanto indicatori della tesa frenesia che continua a contraddistinguere l’urbanistica milanese e lombarda. Lo facciamo cominciando dall’intreccio Ligresti-Piano di governo del territorio (Pgt)-Parco Sud. La notizia più recente è quella della raggiunta “pace” tra Salvatore Ligresti e Palazzo Marino, con il ritiro da parte del primo della richiesta alla Provincia di commissariare il Comune di Milano (si veda “Il cemento sul piede di guerra“). L’accordo è arrivato nella più totale mancanza di trasparenza dopo una serie di riunioni private, anche presso l’abitazione del sindaco, che hanno coinvolto tra gli altri, oltre alle società del gruppo Ligresti, la Moratti, l’assessore Masseroli e perfino Manfredi Catella del gruppo Hines (non si capisce cosa c’entri quest’ultimo nella storia della richiesta di commissariamento: sta sì realizzando insieme a Ligresti il megaprogetto Garibaldi-Repubblica, ma non è assolutamente coinvolto nella questione che avrebbe dovuto essere oggetto dei colloqui, evidentemente si è negoziato anche su altro). L’opinione più diffusa nei media è che si sia raggiunto qualche accordo riguardo alla vera posta in gioco, i diritti edificatori delle vaste aree del Parco Sud di proprietà di Ligresti e il ruolo della Provincia nell’urbanistica milanese.

Come scriveva il Corriere della Sera del 6 ottobre, Podestà “ha osservato che il Pgt non tiene conto dei Piani di Cintura, cioè dello strumento urbanistico che dipende interamente dalla Provincia e che riguarda i criteri e le regole sulla possibilità di edificazione nella zona del Parco Sud” e ha chiesto che i Piani di cintura vengano integrati nel Pgt, sollevando inoltre questioni riguardo alla filosofia generale del Piano e in particolare sulla perequazione (cioè la possibilità di utilizzare altrove i diritti edificatori di cui non si può godere sui terreni di propria proprietà, in base a specifici indici di edificabilità). L’assessore provinciale all’urbanistica, Fabio Altitonante, ha detto che il lavoro sui Piani di cintura comincerà subito, ma richiederà almeno 16 mesi, specificando che si tratta di un territorio che riguarda il 40-50% delle volumetrie del piano regolatore (circa 18 milioni di metri cubi). Il Pgt invece, secondo i piani del Comune, dovrebbe essere approvato al massimo a gennaio. I Piani di cintura urbani riguardano nello specifico aree al confine tra la metropoli e otto comuni dell’hinterland comprese nel Parco Sud o in altri polmoni verdi come il Bosco in Città, il Parco delle Abbazie, i Navigli, il Parco Est Idroscalo, Lambro-Monluè, per una superficie di 4.800 ettari, più del 10% del totale del Parco Sud. Secondo la Repubblica del 6 ottobre, a Podestà “non piacerebbe un’impostazione del Pgt che accentrerebbe a Milano le nuove costruzioni – e le relative volumetrie – trascurando le possibilità di espansione dell’hinterland”. A quanto abbiamo riferito sopra si aggiungono altri due recenti sviluppi. Il 6 ottobre il consiglio comunale di Milano ha approvato la variante urbanistica per la costruzione del megacentro di cura e ricerca Cerba all’interno del Parco Sud, su un’area di proprietà di Ligresti, mentre qualche giorno dopo ha deciso che non si costruirà nella zona dell’ippodromo di San Siro, dove era previsto un megaprogetto di edilizia di lusso. Roberto Losito, immobiliarista e finanziere consulente della Snai, che ha un diritto di opzione sull’acquisto delle aree, si dice non stupito dalla decisione e formula un velenoso commento: “Immagino che se fosse uscita sul mercato, l’offerta qualitativa di San Siro avrebbe creato grossi problemi alla concorrenza”, cioè, si intuisce, ad altri grandi progetti come CityLife o Garibaldi-Repubblica che vedono Ligresti in prima fila, per esempio.

CHE LA GUERRA COMINCI

Un quadro complessivo di grandi manovre e grandi tensioni, e addirittura grandi veleni, dovuti al fatto che si stanno adottando (con un’assoluta mancanza di trasparenza) decisioni che orienteranno l’urbanistica milanese, e quindi il business del mattone, per svariati anni. La posta in gioco del Piano di governo del territorio è molto alta, soprattutto in questo momento di crisi: 14 miliardi di euro. Lo scrive sul Sole 24 Ore del 16 ottobre Marco Alfieri. Il Pgt infatti definisce “15 grandi progetti di interesse pubblico e 31 ambiti di trasformazione” che vanno da Cascina Merlata, Stephenson ed Expo, a Bovisa/Farini, all’area Porta Genova/San Cristoforo e molto altro ancora, per “ben 42 milioni di metri quadrati interessati su un tessuto urbano consolidato attuale di 134. […] La rivoluzione costerà la bellezza di 14,3 miliardi. E’ questa la vera incognita. Non basta infatti estendere il meccanismo della perequazione negoziale che, in teoria, consentirà a palazzo Marino di acquisire a costi nulli 2,6 milioni di metri quadrati di suoli strumentali alle dotazioni della città pubblica riconoscendo ai privati proprietari diritti edificatori sfruttabili altrove in città. Non basta il gettito derivante dai mega oneri di urbanizzazione che, sull’intero Pgt, dovrebbero aggirarsi sui 3 miliardi di euro […]. Il disavanzo resta comunque superiore agli 8 miliardi” e quindi andranno trovate altre formule. Come “il project financing, i trasferimenti pubblici a fondo perduto, le cartolarizzazioni, il ricorso ai Boc, alla Cassa depositi e prestiti o alla Bei (Banca Europea per gli Investimenti). Altrimenti sarà difficile resistere alle pressioni dei grandi costruttori (e ai soldi delle banche). Anche perché le volumetrie più appetibili del Pgt riguardano soprattutto aree come gli scali ferroviari dismessi e le caserme. Terreni di demanio pubblico non ‘catturabili’ con la perequazione”. C’è in più l’incognita politica, “perché è evidente – abbozza una fonte – che se s’incentiva a costruire in città vietando al contempo di edificare nel Parco Sud, che peraltro è intercomunale, chi governa l’urbanistica dell’hinterland si vedrà giocoforza svuotato di competenze e cantieri…”. Insomma, è stata fatta la pace, ora può cominciare la guerra. E c’è subito chi tenta di avviare la guerra con idee apparentemente balzane, ma dalle finalità ben chiare. L’architetto Paolo Caputo (ha lavorato per la realizzazione del villaggio Expo a Cascina Merlata, del Pirellone bis e per Santa Giulia…) ha lanciato la proposta di cementificare il Parco Sud creando intorno alle cascine “nuclei per 500-600 abitanti”. Oltre al fatto che difficilmente si troverà chi vuole andare a vivere in posti isolati a fianco di maleodoranti allevamenti di vacche e maiali, è chiaro che un tale progetto richiederebbe in breve tempo la costruzione di strade, infrastrutture… cioè sarebbe una testa di ponte verso una totale cementificazione del Parco Sud.

IL DIKTAT DI FORMIGONI, GLI ALTRI PROGETTI FARAONICI

Su quella che sembrava a essere destinata a diventare la “madre di tutte le bolle”, e cioè l’Expo 2015, non si registra ancora alcuna novità concreta, a un anno e mezzo dell’assegnazione dell’evento a Milano e a sei mesi dalla nomina del berlusconiano di ferro Lucio Stanca che, secondo quanto promesso, avrebbe dovuto dare il via immediato all’organizzazione pratica dell’evento. Intanto però è stata messa in atto l’ennesima mossa per porre un’ipoteca politica sulla sua gestione. Con un colpo di mano il governatore lombardo Roberto Formigoni e la Lega Nord, nella persona dell’assessore regionale all’urbanistica Davide Boni, hanno assegnato alla giunta regionale il potere di decidere in totale autonomia la necessità o meno di effettuare una valutazione dell’impatto ambientale per le opere essenziali per l’Expo 2015. In pratica, come spiega il verde Carlo Monguzzi, “Formigoni potrà decidere in autonomia se un’autostrada, una centrale o un insediamento industriale saranno compatibili con l’ambiente e la salute dei cittadini”, aggirando le regole urbanistiche e per la salvaguardia dell’ambiente. E’ prevista addirittura l’autocertificazione da parte dei costruttori. E, lo si noti bene, questi poteri vengono assegnati alla giunta e non al consiglio regionale. Quindi le decisioni non saranno nemmeno oggetto di una discussione pubblica e verranno prese senza la minima trasparenza: è questo evidentemente il concetto di democrazia che hanno Comunione e Liberazione e i suoi alleati leghisti. La finalità, oltre alla concentrazione del potere decisionale nelle loro mani, è quella di consentire ai loro amici capitalisti e speculatori di agire rapidamente e senza regole.

Formigoni e la Lega Nord sono in prima fila nel promuovere altri due progetti faraonici che possono giovare unicamente agli speculatori e ai costruttori. Il primo è quello dell’Autostrada dell’acqua, di cui riferisce Repubblica del 6 ottobre. Si tratterebbe di rendere navigabile il Po fino all’Adriatico, un’idea che all’apparenza sembrerebbe allettante, perché suscita immagini di acque naturali, di verde e di trasporti “puliti”. La realtà è esattamente opposta. Innanzitutto il costo di realizzazione sarebbe astronomico, 2,4 miliardi di euro (che come è regola aumenterebbero di molto in corso d’opera) destinati a finire in mano ai cementificatori e ai baroni dell’energia. Eh sì, perché per dare vita all’Autostrada dell’acqua bisognerebbe creare lungo il corso del Po cinque dighe di altezza compresa tra i 2 e i 5 metri, e questo già non suona molto ecologico. Poi il costo dell’opera verrebbe ripagato in parte dalla creazione di quattro centrali idroelettriche lungo il corso del fiume (l’altro vero motivo del progetto). Infine i materiali da costruzione verrebbero prelevati da cave lungo il Po, con il conseguente abbassamento del livello del fiume. Citiamo ancora Carlo Monguzzi: “Il Po era già navigabile prima che rubassero l’acqua ai campi per le centrali elettriche. Questo piano è peggio del ponte sullo Stretto di Messina”. L’altro progetto faraonico, che non a caso ha un costo preventivato identico, di 2,4 miliardi di euro, è fortemente voluto dall’assessore ciellino all’urbanistica milanese Carlo Masseroli. Si tratta del maxitunnel sotterraneo che dovrebbe collegare Linate con l’autostrada dei laghi. Il Comune ha dato il via libera, entro tre mesi ci dovrebbe essere la gara d’appalto per la prima tratta e nel 2010 quella per la seconda e ultima tratta. I lavori verranno realizzati dalla società Torno (già in difficoltà finanziarie e responsabile in larga parte degli enormi ritardi nella realizzazione dell’ultima tratta della linea 3 della metropolitana) con il probabile finanziamento di Intesa Sanpaolo e Unicredit. Per percorrere l’intero tunnel bisognerà pagare oltre 10 euro, un costo che evidentemente non spingerà a utilizzarlo da un capo all’altro della città disintasando così le tangenziali, ma ne farà un tunnel per il business di fascia medio-alta destinato a riversare in centro altro traffico automobilistico.

C’è infine il capitolo dei parcheggi voluti a suo tempo dalla giunta di Gabriele Albertini, che da anni hanno ridotto Milano a un gruviera, ma in compenso hanno rimpinzato le tasche dei costruttori. Dopo 5 anni dal varo del progetto, e innumerevoli proteste e polemiche, il Comune ha fatto marcia indietro sul parcheggio della Darsena, uno dei capitoli più folli dell’impresa parcheggi. L’area, ridotta da lungo tempo a una discarica a cielo aperto a causa dei lavori per il parcheggio, sarà oggetto di interventi di ripristino. Il progetto non è stato definitivamente annullato (potrebbe essere ripreso dopo il 2015), ma intanto è stato cancellato il contratto con la ditta che aveva vinto la gara d’appalto e aveva realizzato parte dei lavori, la Darsena SpA. Ora probabilmente partirà una guerra dei ricorsi che potrebbe costare cara al Comune (la Darsena SpA afferma di avere già investito 14 milioni di euro, oltre a lamentare di essere costretta a licenziare 40 operai) e che in più potrebbe bloccare per lungo tempo i lavori di ripristino. Albertini, invece di pagare i danni arrecati alla città con questo e altri progetti, nonché per i fallimentari derivati, ha addirittura il coraggio di non escludere una sua ricandidatura a sindaco. Nel frattempo sono stati cancellati i progetti relativi ad altri due parcheggi, ma in compenso è stato confermato quello di piazza S. Ambrogio e ne sono stati approvati di nuovi, come quello che andrà a deturpare una delle zone più storiche e verdi del centro storico di Milano, in via Marina, e quello di via Canaletto a Città Studi. Ed è stato approvato il progetto della criticatissima “Gronda Nord” (ora si chiamerà Zara-Expo), una specie di autostrada urbana da 105 milioni di euro contro la quale si erano pronunciati praticamente tutti, dai comitati locali agli urbanisti, fatta eccezione per il Comune. L’unica novità è che si farà la valutazione di impatto ambientale.

AEROPORTI IMPAZZITI

Accanto alla bolla immobiliare sempre più incombente e ai vari megaprogetti miliardari c’è da registrare l’ulteriore peggioramento del caos nel sistema aeroportuale lombardo e italiano, che ha già causato danni enormi alla Lombardia (si veda in merito  “Sulle ali del caos“). E’ tornato alla ribalta l’aeroporto bresciano di Montichiari (il D’Annunzio), che rischia di aggiungere una nuova tessera al caos generato dalla concorrenza reciproca tra Malpensa, Linate e Orio al Serio. Attualmente Montichiari è nelle mani della società che gestisce l’aeroporto Catullo di Verona (a sua volta controllata dalla Provincia di Trento…) e nella primavera scorsa a Brescia si è costituita una cordata costituita da Comune, Provincia, Camera di Commercio e Associazione Industriali locali per rilevarne il controllo, con un’operazione dal costo complessivo di circa 80 milioni di euro (lo scalo bresciano, va notato, è in passivo di 4-5 milioni di euro all’anno), il tutto all’insegna dello slogan “fare di Montichiari il volano dello sviluppo territoriale”. All’inizio di ottobre l’accordo, voluto tra l’altro fortemente da Umberto Bossi, sembrava ormai imminente. Poi sono arrivati i primi intoppi. A Verona si è cominciato a parlare del fatto che la cessione di quote ai bresciani sarebbe stata una svendita, nonché del rischio che si formasse un polo lombardo (Orio, Malpensa e Linate) a svantaggio della città veneta e via dicendo, sulle ali delle eterne lotte intestine tra le lobby di destra. Il 24 ottobre si arriva alla rottura delle trattative, in mezzo a penosi scambi di accuse non solo tra le due opposte fazioni, quella bresciana e quella veronese, ma addirittura al loro interno. Salta subito all’occhio che l’idea di “brescianizzare” Montichiari non è il frutto di una strategia di largo respiro per mettere ordine nel caotico sistema aeroportuale del Nord Italia, ma solo una misera guerra di campanile da combattersi subito, senza idee per il futuro.

Che la situazione del sistema dei trasporti aerei sia in Italia del tutto fuori controllo lo testimonia la nuova Alitalia, su cui pesano debiti per circa 450 milioni di euro, che ha registrato una calo delle attività pari al 30% e ha ridotto di oltre 7.000 unità i propri dipendenti. Negli ultimi anni in Italia, grazie anche alle situazioni di monopolio, sono stati investiti 2,5 euro a passeggero a fronte di una media europea di 12 euro, e il sistema sta collassando. La Adr dei Benetton che gestisce lo scalo romano di Fiumicino ha 1,6 miliardi di debiti, la Sea risente dei problemi enormi di Malpensa. Dei 47 aeroporti italiani, per fare solo un esempio della mancanza di programmazione, appena 5 sono raggiungibili con il treno. Tutto questo non impedisce di programmare altro caos. Nella sola Sicilia, Enna ha in previsione un mega-aeroporto internazionale, ambizioni analoghe hanno anche Agrigento, Messina e Comiso. In Campania è guerra aperta tra Caserta e Salerno per il ruolo di secondo aeroporto campano nel momento in cui lo scalo napoletano di Capodichino è saturo. Nel Lazio la lotta a tutto campo è tra Viterbo e Frosinone, che puntano entrambe a conquistarsi i voli della Ryanair che dovrà traslocare da Ciampino. In Toscana è in corso da anni un conflitto aperto tra gli aeroporti di Firenze e Pisa. In Lombardia, come se non bastasse la caotica situazione che coinvolge Malpensa, Orio, Linate, Montichiari e la contigua Verona, si aggiungono le ambizioni di Mantova, che vuole riattivare la pista di cui è dotata.

Intanto la romana Adr e la lombarda Sea aumenteranno le tariffe aeroportuali applicate ai passeggeri per rimpinguare le proprie casse sempre più vuote. A fronte dell’aumento dei prezzi hanno promesso al premier Silvio Berlusconi di effettuare investimenti di 5 miliardi entro il 2011 e di altri 10 entro il 2040 (cioè più di trenta anni!). Ma si tratta solo di promesse, come spiega il Corriere della Sera: “a giugno di due anni fa il Cipe aveva fatto discendere l’eventuale aumento tariffario dalla stipula di contratti tra i gestori e l’Enac (Ente aviazione civile): insomma, prima gli impegni scritti dei gestori, dopo i rincari”. Ma siccome la stipula dei contratti “sta procedendo a rilento”, si è passati a un altro principio: prima gli aumenti poi eventualmente si penserà ai contratti. Il decreto con cui sono stati approvati gli aumenti tariffari è tra l’altro in contraddizione con la direttiva europea che impone la mediazione di un’Agenzia imparziale per gli adeguamenti tariffari concertati tra i gestori e i vettori. Vale a dire che, esattamente come nel caso della milanese A2A citato nella prima puntata di questo nostro speciale, le società aeroportuali ora incassano, ma con il forte rischio che tra anni l’Italia sia costretta da Bruxelles a pagare multe enormi il cui peso ricadrà sui contribuenti. A Malpensa intanto si pianificano 2 miliardi di nuovi investimenti entro il 2020, in assenza di strategie valide coordinate a livello lombardo che evitino il caos attuale. Entro il 2010 dovrebbe essere realizzato un nuovo terminal uno, insieme agli alberghi di fronte all’aeroporto; entro il 2015 dovrebbe essere pronto un nuovo terminal low-cost, la cargo-city e la terza pista, mentre entro il 2010 dovrebbero essere realizzati un nuovo terminal e un nuovo polo logistico. Con ogni probabilità, visto quanto esposto sopra, si tratterà delle ennesime cattedrali nel deserto. E infine un’amenità targata Formigoni. Su decisione della Regione, gli aeroporti milanesi verranno dotati di detector speciali che riveleranno la temperatura dei passeggeri al fine di contrastare la diffusione del virus H1N1, per un costo totale di 100.000 euro. Briciole rispetto alle cifre citate sopra, ma “briciole” davvero buttate al vento. Installare tali apparecchi avrebbe forse avuto senso nella primavera scorsa, quando in Italia il virus non era ancora molto diffuso. Ora è diffuso tanto in Italia quanto nel resto del mondo e la misura (che tra l’altro non si sa con precisione quando verrà realizzata) non ha alcuna razionalità. Senza poi contare il fatto che non viene detto cosa ne sarà dei poveri passeggeri con la febbre. Una buffonata che la dice lunga sull’inettitudine di chi ci governa.

CONTRO MILANO

Il Comune di Milano ha varato il suo secondo fondo immobiliare, proprio come ha fatto Ligresti con alcune sue proprietà. Nel fondo confluiranno 67 immobili comunali per un valore stimato (ma per le stime degli immobili dei fondi immobiliari si veda la Puntata 2 di questo speciale sulla bolla) di 100 milioni e Palazzo Marino dice che potrebbe ricavarne 15-20 milioni di euro di plusvalenza con i quali conta di coprire in parte la mancata corresponsione dei dividendi da parte dell’A2A. Si tratta di (ipotetici) introiti che in realtà l’attuale normativa vieta ai comuni di utilizzare per investimenti ma, spiegano i funzionari, Tremonti starebbe rivedendo tali norme. Un’operazione fatta nel momento peggiore, quando le quotazioni degli immobili sono al ribasso, e che in più costituisce l’ennesimo travaso dal pubblico al privato. C’è però un altro particolare. Tra gli immobili che verranno inseriti nel fondo per essere “valorizzati” ci sono luoghi storici della Milano democratica come il Circolo Arci Bellezza nei pressi della Bocconi, il centro anarchico Ponte della Ghisolfa in viale Monza, il centro sociale Torchiera in piazzale Cimitero Maggiore e il centro sociale Cox di via Conchetta, dove tra l’altro è conservato il preziosissimo archivio di Primo Moroni, la sede della Cgil di via Giambellino e il palazzo di Via Bagutta 12 che ospita alcune associazioni. Un vero e proprio attacco alla tradizione alternativa e democratica di Milano (descritta tra l’altro con minuzia dallo stesso Moroni, si veda il nostro “Dalle bande di quartiere ai centri sociali“) all’insegna della politica bancarottiera del Comune di Milano e della speculazione immobiliare. Intanto stanno per partire le aste del primo fondo immobiliare del Comune, creato nel 2007 per un “valore stimato” di 255 milioni e sempre gestito da Bnp Paribas. Verranno venduti immobili ex popolari come quello di via Cesariano 11 e la Casa di via Morigi, occupata da decenni e che ospita numerose associazioni nonché attività culturali.

LA BUFALA DEL SOCIAL HOUSING

Se da un lato si buttano via miliardi di euro nella speculazione finanziaria e immobiliare, dall’altro a Milano tutto ciò che veramente serve a chi studia o vive del proprio lavoro non funziona. Ne sono una dimostrazione gli ultimi urgenti appelli per mettere in sicurezza le scuole, sempre più a rischio crolli, o il recente ennesimo incidente tramviario verificatosi a Milano, questa volta con quattro feriti, dovuto al problema ormai cronico dell’errato funzionamento di scambi vetusti. E sono solo due degli innumerevoli esempi che si potrebbero fare. Di fronte a questa situazione di sfascio Palazzo Marino si fa bello lanciando qua e là qualche iniziativa di “social housing” venduta al pubblico come prova della sensibilità dell’amministrazione, degli speculatori e delle banche per gli aspetti sociali. In realtà si tratta di un’operazione che punta a regalare agli speculatori anche il mercato delle abitazioni per i ceti medi (a tutto svantaggio dell’edilizia popolare ed effettivamente sociale), diventato molto appetibile in questo periodo di crisi dopo anni di “sovrapproduzione edilizia” nel settore lusso ed extralusso. Un’operazione che prevede scandalose sovvenzioni pubbliche per gli speculatori, come illustriamo più sotto. Ma prima vediamo l’ultimo caso, quello della Social Main Street (!), cioè una torre di 14 piani interamente in legno che offrirà posti letto e bilocali in affitto nel quartiere periferico e scarsamente appetibile della Bicocca. I prezzi? 250 euro/mese per uno scarno posto letto, 480 euro per il bilocale in condivisione, cifre ben lontante dall’essere popolari. Si tratta di un bel business per le cooperative legate a Comunione e Liberazione (ma anche per quelle della Legacoop, con la quale c’è una sempre maggiore sintonia). L’iniziativa infatti parte dalla Compagnia dell’Abitare, che fa parte della ciellina Compagnia delle Opere ed è presieduta da un personaggio ormai storico della galassia Cl, Antonio Intiglietta. Al progetto ha collaborato lo studio di ingegneria Urbam (sempre galassia Cl) e la torre sarà amministrata dalle cooperative La Ringhiera (Compagnia delle Opere) e Auprema (Legacoop). Il progetto è stato presentato con una conferenza stampa alla quale hanno preso parte, oltre a esponenti dei summenzionati soggetti, anche Roberto Formigoni (Cl) e l’assessore milanese all’urbanistica Carlo Masseroli (Cl). Ma per capire meglio il lucrativo business che c’è dietro queste operazioni bisogna spiegare cosa è il social housing. Lo facciamo riprendendo un pezzo da noi scritto nel novembre 2008, quando Milano Internazionale non era ancora su web:

“Quando in politica si comincia a parlare in inglese c’è sempre di mezzo un inganno. Lo conferma il caso del social housing (i più temerari provano a italianizzarlo a metà parlando di “housing sociale”), un termine che negli ultimi mesi politici, imprenditori e stampa stanno riversando a fiumi nel mare della propaganda che ci assale quotidianamente. Grazie a un’ingegnosa ingegneria politico-imprenditoriale, ci viene raccontato, verranno messe sul mercato migliaia di abitazioni a prezzo “agevolato”, “calmierato”, “convenzionato”. L’idea può apparire appetibile al comune cittadino, che si trova a dovere affrontare costi esorbitanti e insostenibili per soddisfare il bisogno primario di avere un’abitazione. Ma conoscendo chi propone o sostiene questo progetto (per esempio, il summenzionato assessore Masseroli, oppure le banche) è naturale essere diffidenti. Perché mai chi ha fatto del profitto e della speculazione un motivo di vita dovrebbe all’improvviso gettarsi a capofitto in un’attività a prezzi inferiori a quelli “di mercato” (ma sarebbe meglio dire: a quelli gonfiati dalla bolla immobiliare)? I motivi in realtà sono semplici: perché permette un ennesimo travaso di valori dal pubblico al privato, perché è un utile strumento propagandistico per nascondere altre enormi operazioni di carattere puramente speculativo e perché comunque è di per se stessa un ottimo affare. Riguardo all’ultimo motivo, è chiaro che in questo momento di crisi mondiale del settore immobiliare e di aumento dell’incertezza i progetti di social housing sono una vera manna per gli immobiliaristi. Le loro società perdono utili, valore e capitali a tutto spiano (i 22 fondi immobiliari italiani quotati hanno perso il 18% da fine dicembre 2007 a fine agosto 2008, cioè ancora prima dell’inasprirsi della crisi) e il social housing offre rendimenti del 3% più inflazione (di questi giorni un tasso appetibilissimo), con la possibilità di eliminare ogni elemento di rischio grazie a finanziamenti agevolati e garanzie pubbliche sulla solvenza degli affittuari. Inoltre, pressoché tutti i progetti di social housing prevedono in realtà solo una quota molto piccola di affitti calmierati, la grande maggior parte del costruito è affittabile, o vendibile, a prezzi di mercato. In molti casi si tratta poi solo di uno specchietto per allodole di stampo prettamente populista: si sbandiera il “progetto sociale”, ma in realtà grazie alla perequazione (cioè, nelle politiche attualmente applicate, la licenza di costruire, o di costruire di più, laddove non era possibile, in cambio della realizzazione di opere di utilità pubblica o sociale) si realizzano enormi affari a danno dei cittadini. In pratica, per spiegare il concetto: l’immobiliarista/banca/fondo costruisce con finanziamenti e regali dei contribuenti 1 in social housing, comunque più che profittevole, e riceve in cambio 4, 5 o addirittura 10 in licenze di costruzione, direttamente tramutabili in profitto mediante attività edilizie o che comunque consentono una rivalutazione astronomica di terreni già posseduti. Basta prendere a esempio il “piano Milano”, citato dal Corriere Economia. Il Comune ha messo a disposizione (gratis!) otto aree per costruire 3.300 alloggi. Chi vi costruirà, potrà vendere a prezzi di mercato fino al 75% delle case realizzate, appena un quarto invece dovrà essere a prezzo calmierato, cioè in “social housing”. Ma non è tutto. Il Comune mette inoltre a disposizione 20 milioni per abbassare i tassi di finanziamento bancario, mentre la Regione ce ne mette altri 30 per “ridurre il rischio insolvenza affitti”. Insomma, terreni regalati dagli enti pubblici, soldi pubblici per costruire, soldi pubblici per eliminare ogni rischio di mancato incasso degli affitti e gli “investitori” possono vendere fino al 75% a prezzi di mercato – altroché social housing, questa è una vera e propria cassa di assistenza pubblica per i signori del mattone! E le cifre in gioco sono da capogiro: secondo le stime di Sergio Urbani, della Fondazione Housing Sociale di Cariplo, il social housing in salsa pubblico-privata vale 3 miliardi all’anno di sviluppo del mercato. Cariplo (la fondazione azionista di Banca Intesa San Paolo) è per l’appunto uno dei principali attori di queste operazioni, insieme ad altre delle numerose e potenti fondazioni bancarie. Non mancano naturalmente gli immobiliaristi, come per esempio la Pirelli Re guidata da Puri Negri, nonché le cooperative rosse e cielline – anzi, la torta è così appetibile che Legacoop e i ciellini della Compagnia delle Opere hanno superato i vecchi steccati ideologici unendo le forze per dare insieme vita alla Fondazione Abitare (che conta tra le sue fila l’avvocato Guido Bardelli, vicino a Cielle, citato a suo tempo dal Corriere della Sera come una delle possibili scelte di Moratti ad assessore per l’urbanistica). Oltre agli enti locali, tra i finanziatori vi sarà anche lo stato tramite la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), sempre più coinvolta nel ruolo di crocerossina per i capitalisti a corto di fondi, la quale avrà un ruolo non proprio in armonia con il principio dell’inammissibilità del conflitto di interessi: la Cdp è infatti partecipata al 30% dalle fondazioni bancarie e si ritroverà, attraverso il veicolo di un’appositamente costituita Società di gestione del risparmio, a promuovere progetti di social housing tramite finanziamenti di cui godranno in molti casi… le fondazioni bancarie. Dietro a tutto questo, naturalmente, l’assenza di ogni politica per la casa che vada a favore di chi lavora, e non di chi arraffa”.

Fine